GIACOMO MOLOGNI, trombonista e direttore d’orchestra dal cuore d’oro
Originario di Fiorano al Serio, adottato da Canonica d'Adda: esempio di memoria storica di tempi passati e ricordi musicali di prezioso valore
Maestro, innanzitutto mi tocca darti del TU sennò ti arrabbi con me ! Vogliamo raccontare ai nostri lettori la fortuna che hai avuto ad avere un padre musicista?
Certo che mi devi dare del TU! E' una regola non scritta del mio piccolo mondo: tra noi che mastichiamo musica ci si dà tutti del "tu", specialmente se c'è collaborazione. Siamo tutti ingredienti dello stesso pane, fatto salvo il rispetto che ognuno deve avere nei confronti del prossimo. Non mi sembra il caso che ci debbano essere distanze tra colleghi. Per il resto della domanda, mi chiedi della fortuna che ho avuto ad avere un padre musicista. Devo cominciare coll'affermare che, secondo il mio parere non solo di figlio, mio padre Virgilio è stato il più puro fra i dilettanti. Quelli che parlano bene direbbero "man self man": si è veramente fatto da solo, non ha avuto insegnanti. Il suo grande interesse per la musica lo ha indirizzato allo studio di questa materia, che ha portato avanti assolutamente da solo, con spirito di grande buona volontà, fino a quando, raggiunto un ottimo livello di lettura della musica, i suoi collaboratori della Banda del paese vollero affidargli il compito di direttore della stessa. E la medesima cosa avvenne per il Coro Parrocchiale, che lo vide direttore per moltissimi anni. Mi era naturale, quindi, imitare i gesti della "bacchetta" paterna fin dalla mia più tenera età, così come facevo impazzire le mie sorelle, e specialmente la mia mamma, quando cercavo di riprodurre più o meno ritmicamente tutto ciò che mi arrivava alle orecchie (suoni e canti) percuotendo pentole e padelle di varie dimensioni con i più vari attrezzi.
Eri così piccolo quando ti sei avvicinato alla musica, tanto che il papà ti ha affidato lo studio di uno strumento adatto alle tue piccole mani: l'ottavino. Ci vuoi raccontare l'aneddoto del tuo primo concerto a soli sei anni?
Devo aver stancato tanto e poi tanto mio padre perché mi desse l'opportunità di prendere in mano uno strumento. Probabilmente l'ho sfiancato (anche aiutato dalla mamma) fino a quando mi mise tra le mani un Ottavino: il più piccolo fra gli strumenti a fiato che fossi in grado di sorreggere a cinque anni. Fu il più bel regalo che avessi mai ricevuto e che oggi ancora conservo all'interno di un piccolo quadro con lo sfondo di velluto e una bellissima cornice dorata. E' stato il mio "giocattolo" preferito e più di una volta ricordo di essermelo portato a letto, quando la sera tornavo dalle prove della Banda. Sì, perché frequentavo quelle prove e, a turno, le mie sorelle venivano a prendermi per riportarmi a casa dopo mezz'ora. Non avevo ancora compiuto sei anni che ebbi la mia prima performance musicale con giallo finale. Era la sera del 22 Aprile, vigilia della festa di S. Giorgio, patrono di Fiorano. In quella circostanza si teneva di prammatica il Concerto della Banda, tra fuochi d'artificio, piccole bancarelle profumate di zucchero filato e dolciumi vari, che facevano la felicità di tutti i bambini. Ma in quel lontano S. Giorgio del 1946 non ero per niente attratto dalle bancarelle. Aspettavo trepidante l'inizio del concerto della Banda. Era il primo al quale avrei partecipato col mio ottavino di ebano, che accarezzavo con gioia mentre il cuore andava a mille. Naturalmente non sapevo né leggere né tantomeno decifrare spartiti musicali. Ma con infinita pazienza mio padre mi aveva fatto esercitare con il mio piccolo strumento, aiutato anche da un suo amico flautista di Gazzaniga, che ricordo ancora con tanto affetto (per me era il Maestro Bordogna). Naturalmente avevo imparato a memoria quelle poche note che potevo essere in grado di emettere e che, per me, rappresentavano una grande conquista. Anche adesso "che sono grande e bevo vino", come direbbe l'immenso Lucio Dalla, sono alto poco più di un soldo di cacio. Figuratevi all'età di manco sei anni. Il palco della Banda era a misura di persone adulte (a quei tempi si suonava in piedi) e io non arrivavo al leggio, ragion per cui mi venne incontro l'alta tecnologia: due casse di birra sotto i piedi ed eccomi all'altezza dei "grandi". Dopo l'euforia dell'inizio del concerto, cominciai però ad avvertire la fatica della tensione e, "nel momento culminante del finale travolgente", come recita una nota canzone dell'epoca, mi addormentai in piedi e il mio traballante trono cadde miseramente, con me, i miei "finti" fogli di musica e il mio ottavino, che però tenni ben stretto fra le mani e non subì traumi. Solo il pronto intervento del Maestro Bordogna, che mi agguantò per un braccio, evitò che finissi per terra, spaventato e mortificato. Fu così che, per la prima volta, in paese si parlò di me…
Ti sei adattato, nel corso della tua esperienza bandistica adolescenziale, a suonare vari strumenti a fiato. Ci vuoi dire quali?
Passano gli anni e naturalmente anch'io cresco (poco), ma più di tutto aumenta la mia voglia di far musica. Essendo poi mio padre il responsabile della Banda, non mi pareva vero di poter avere la possibilità di conoscere gli strumenti che ne facevano parte e mi ritenevo fortunato a poter avere accesso a essi. Tra l'altro, in caso di necessità, mi venivano affidati e dovevo impararli a suonare e maneggiare nel giro di pochi mesi. Dal Clarinetto Piccolo (chiamato così anche questo per le sue ridotte dimensioni) al Saxofono Contralto, dal mitico Genis, strumento ormai caduto in disuso, sostituito dai Corni in Mib, a tutta la serie di Ottoni, dalla tromba al Trombone (a chiavi!!!), al Flicorno Tenore fino al Bombardino. Ho mancato il Basso tuba perché in Banda ce n'erano già tre! C'è stata anche una piccola parentesi tra Tamburo, Gran Cassa e Piatti. Insomma, non mi sono lasciato mancare niente: io mi divertivo e a mio padre faceva piacere che qualcuno in qualche modo "tappasse i buchi" nell'organico. I risultati? A voi l'ardua sentenza. Col passare del tempo mi resi conto di quanto fosse difficile maneggiare uno strumento. E in quegli anni la radio mi venne in soccorso. Era l'epoca in cui andava per la maggiore un'Orchestra a dir poco favolosa. Era l'Orchestra di Cinico Angelini, nella quale sentivo suonare uno strumento che mi appassionò a tal punto da riuscire a introdurlo nella banda, con molta mia insistenza. Nelle compagini dei nostri paesi a quel tempo, infatti, non esisteva. Lo strumento era il Trombone a coulisse e il trombonista, lo seppi molto tempo dopo, era nientemeno che il grande Mario Pezzotta, con il quale, molti anni dopo, avrei avuto la fortuna di lavorare fianco a fianco.
Poi alla fine il tuo cuore ha scelto proprio il trombone e hai deciso di iscriverti al Conservatorio. Perché hai scelto di intraprendere questa strada?
Un caso fortuito. Ero diciassettenne e nell'estate del 1958 al paese, come tutti gli anni, si presentò una baracca di burattini con quegli spettacoli popolari ancora in auge in quegli anni. Entrai a vederne uno e mi sedetti su una panca, vicino a un signore dalla folta chioma bianchissima, che conoscevo di vista perché l'avevo notato più volte parlare con mio padre. Lo apprezzavo come organista della chiesa di Gazzaniga e, in seguito, ebbi modo di conoscerlo molto più a fondo. Fu lui a rivolgermi per primo la parola. Mi disse che già sapeva chi io fossi e che conosceva molto bene mio padre. Cominciò a parlarmi della scuola di musica nella quale insegnava Organo. La scuola era il Conservatorio di Bergamo, che all'epoca era denominato "Liceo musicale Donizetti", ubicato in Città Alta. Mi disse che avrebbe parlato lui stesso con mio padre per spiegare come accedere all'esame di ammissione e fu così che quell'incontro segnò l'inizio della mia avventura musicale, proprio grazie ai "Giupì", i burattini.
A casa manifestai il mio entusiasmo per la possibilità di intraprendere questa avventura e tutta la mia famiglia agevolò il mio desiderio, che comportava comunque anche qualche problema di natura economica.
In chiesa mi dilettavo a suonare l'organo e avevo una pur minima conoscenza della tastiera del pianoforte. Mi presentai all'esame di ammissione al Conservatorio col mio Bombardino sottobraccio e chiesi di eseguire l'Ave Maria di Gounod. Volevo fare bella figura e, povero ragazzino di paese, chiesi e ottenni di auto-accompagnarmi con la mano sinistra al Pianoforte, pensando di far colpo sulla commissione, senza notare i risolini di scherno che tra loro si scambiavano i commissari d'esame. Ricordo di aver fatto una discreta esecuzione, ma il Presidente mi raccomandò di non scambiare quella scuola per un circo. Però venni ammesso, anche se non esisteva una classe per Ottoni. Solo la lungimiranza del Maestro Giuseppe Tassis permise di far decollare il nostro Conservatorio con una classe di Ottoni, anche se lui era un insegnante di Clarinetto. Il mio primo corso di Conservatorio lo portai avanti con lui e per l'Anno Scolastico successivo fu sempre il Maestro Tassis capace di convincere il Comune di Bergamo ad assumere insegnanti di altri strumenti. Arrivò quindi un insegnante di Tromba, il Maestro Anania Battagliola, eccellente Prima Tromba dell'Orchestra Sinfonica della Rai di Milano. Anche lui non era un trombonista, ma un ottimo insegnante, che preparò me e molti altri compagni di corso fino alla possibilità di presentarci agli esami di Stato al Conservatorio di Piacenza, non essendo la nostra Scuola parificata. Esame di "Licenzino" dei corsi inferiori e, finalmente, Esame di "Diploma", il tutto risolto in soli cinque anni, quando l'iter scolastico prevedeva sette corsi per sette anni di studio.
Terminati gli studi conservatoriali, hai partecipato a selezioni in varie orchestre e, dopo tante fatiche senza mai molà (da tosto bergamasco), vinci ben due posti contemporaneamente: uno a Genova, come secondo trombonista, e uno a Trieste come primo. Alla fine cos' hai scelto e perché?
Prima che cominciassi a partecipare ai diversi concorsi che mano a mano si presentavano, ho insegnato per ben cinque anni nelle Scuole Medie Statali. Ma mi sono reso conto che non era possibile impegnare tanto tempo in questo lavoro e contemporaneamente avere anche il tempo necessario per tenermi in allenamento con lo strumento. Alla fine, anche con l'approvazione di mia moglie, mi sono licenziato dalla Scuola Media, per cominciare finalmente a suonare in orchestra a tempo pieno. Nel frattempo anche la mia famiglia si era ingrandita e con l'arrivo di mia figlia non potevo permettermi passi falsi. I concorsi ai quali fino ad allora avevo partecipato avevano dato esiti non troppo incoraggianti perché, come dicevo prima, le ore che dedicavo alla scuola non permettevano di "stare addosso" allo strumento per tutto il tempo che serviva ad avere una preparazione sufficiente per accedere ai concorsi. Infatti, nel frattempo, si arricchivano sempre più di altri concorrenti e io cominciavo a non essere più di primo pelo. Durante gli anni trascorsi nella Scuola, potevo rispondere limitatamente alle chiamate presso le varie orchestre. Ecco quindi la drastica decisione: via dalla scuola e dentro a capofitto ad accettare tutte le possibilità che mi venivano offerte per suonare in orchestra. Ne avrebbe tratto beneficio il mio allenamento sempre più serrato per fare esperienze e finalmente vedere se ero in grado di competere con altri trombonisti negli eventuali concorsi nazionali. Accettavo quindi scritture anche per brevi periodi o addirittura per pochi giorni, perché avevo comunque la possibilità di "farmi le ossa" e di essere conosciuto nell'ambiente professionale. La famiglia aveva ovviamente le sue esigenze e un minimo di stipendio dovevo pur guadagnarmelo! Ebbi l'opportunità anche di suonare in un gruppo di musica leggera che faceva un discreto numero di serate e che mi permettevano di non far pesare oltre il lecito la mancanza di uno stipendio fisso. Durante gli anni nei quali ero impegnato nell'insegnamento nelle Scuole Medie, nei mesi estivi, potevo accettare impegni in varie orchestre. Questi avevano una certa durata, come ad esempio all'Arena di Verona, dove il contratto prevedeva una collaborazione di oltre due mesi. Anche per le Stagioni Liriche al Teatro Donizetti di Bergamo mi era possibile accettare le scritture a cavallo dei mesi di ottobre/novembre. Ma quando mi offrivano impegni in teatri troppo lontani dalla mia abitazione, ero costretto a declinare gli inviti perché già impegnato con la scuola. Ecco quindi la causa della mia scelta di vita, condivisa dalla mia giovane moglie: lasciare il certo per l'incerto e tentare il grande salto.
Per fortuna avevo sempre quel piccolo lavoro che, per ben sette anni, mi ha permesso di portare a casa un minimo di stipendio: il gruppo di musica leggera che si esibiva col nome di I Diavoli Rossi, nato nel periodo in cui si sono formati numerosi gruppi a imitazione dei Beatles o dei Rolling Stones o, per rimanere in terra orobica, degli stessi Pooh o dei Chiodi. Non c'era concorrenza fra queste formazioni, perché il responsabile dei Diavoli Rossi, il Maestro Tony Scarpanti, violinista di formazione classica, aveva impostato un repertorio che era ben accetto fra i frequentatori delle sale da ballo dell'epoca. Gradivano ancora Tanghi, Valzer, Mazurke e balli vari di coppia. Quando poi i Diavoli si arricchirono della presenza di due formidabili strumentisti quali il pianista Gianni Bergamelli e il polifiatista Gianluigi Trovesi e di una cantante dalle doti spettacolari, Piera Gritti, dai nostri afecionados paragonata alla grande Mina, il salto di qualità fu immediato. Il repertorio subì una trasformazione positiva con le esecuzioni di brani jazz richiesti nei night dove il gruppo era chiamato a fare le serate. Sebbene non mi dispiacesse questo genere che definivo "americano" e che avevo tanto ammirato quando ascoltavo il grande Pezzotta, in tutta onestà non era nelle mie corde. Lo swing mi piaceva molto ma non avevo la capacità di improvvisatore. Nel contempo intrapresi anche l'attività di Direttore di Banda, quello che era la mia seconda passione, dopo lo studio del Trombone. Qui si fece strada in me la convinzione che non ci fosse un modo codificato di insegnare. Il metodo si affina insegnando in base alle situazioni, come ebbi modo di sperimentare durante i ventidue anni di docenza presso la Civica Scuola di Musica di Milano, dove ebbi la fortuna di operare con un imprecisato numero di ottimi allievi che ancora oggi sono inseriti in posti di rilievo dell'ambiente professionale.
Finalmente, poi, arrivò la svolta della mia vita da strumentista. Essendomi liberato dagli impegni scolastici, ebbi la possibilità di dedicare molto tempo allo strumento e, dopo innumerevoli concorsi ai quali partecipai, con altrettante delusioni, arrivò finalmente un periodo di "forma" e, nel breve volgere di circa una settimana, mi classificai al primo posto in due concorsi consecutivi: dapprima al Teatro di Genova, per un posto di secondo trombone, in seguito al Teatro Verdi di Trieste, per il posto di primo. Ricevetti la notifica di vincitore dei concorsi praticamente in contemporanea. Allora mi venne spontaneo pensare di accettare il posto a Trieste. Ero però nel frattempo sotto contratto con l'Orchestra della RAI di Milano, per cui chiesi e ottenni che mi fosse concesso di ultimare questo ingaggio. Ma fortuna volle che, pochi giorni prima, avessi partecipato anche al Concorso per il posto di secondo trombone proprio in quell'Orchestra, nella quale già impegnato per coprire un posto vacante. Lo vinsi e la scelta fu ovvia. Nel gennaio del 1971 entrai stabilmente a far parte dell'organico dell'Orchestra Sinfonica della RAI di Milano.
La tua attività di strumentista vedrà la collaborazione con alcune prestigiose orchestre quali l'Orchestra del Teatro Donizetti di Bergamo, il Teatro alla Scala di Milano, l'E. A. Arena di Verona, il Teatro Verdi di Trieste, l'Orchestra Haydn di Bolzano e Trento, il Teatro Comunale di Treviso, l'Orchestra della Radio Svizzera Italiana di Lugano. Poi nel 1971 vinci il Concorso Nazionale della RAI e diventi trombonista stabile nell'Orchestra Sinfonica di Milano. Quali insegnamenti ti porti dietro grazie a queste esperienze importanti?
La risposta è semplicissima: è la convinzione che il lavoro coscienzioso prima o dopo paga. La costanza che mio padre mi aveva inculcato cominciava a dare i suoi frutti e io mi sentivo veramente un privilegiato.
Non contento di suonare "solo qualche strumento a fiato", frequenti i corsi di composizione e percussione con il M° Campioni presso il Conservatorio "G. Verdi" di Milano, di direzione d'Orchestra con il M° Ludmil Descev di Sofia (Bulgaria) e un corso di perfezionamento a Conegliano Veneto con il M° Vram Tchiftchian. Insomma, nasce il tuo secondo amore: la direzione d'orchestra. Quali orchestre hai avuto l'onore di dirigere?
L'esperienza maturata in Banda, a imitazione dell'attività paterna, mi è stata di grande aiuto. Ecco il motivo per cui ho intrapreso gli studi di composizione, direzione d'orchestra e percussione: volevo ampliare le mie competenze per meglio operare con le Bande che dirigevo. Essendo l'Orchestra della RAI di Milano ubicata presso il Conservatorio Verdi, e avendo molte ore libere nei pomeriggi tra le due prove d'orchestra, decisi di iscrivermi a questi corsi: col M° Irlando Danieli per la composizione e il M° Franco Campioni per le percussioni. Ho riempito le mie giornate milanesi intanto che mi dilettavo anche alle trascrizioni per Banda che mi servivano per i gruppi dei quali ero responsabile. A Conegliano Veneto ho frequentato invece il corso di Direzione d'Orchestra col M° Ludmil Descev di Sofia (Bulgaria) e di perfezionamento con il Maestro armeno Vram Tchiftchian, che a sua volta era stato allievo del grande Aram Khacaturjan.
La mia attività di direttore d'orchestra ha avuto inizio quasi per caso. Dirigevo già da qualche anno Bande diverse. La più importante era stata la Banda di Lovere, con la quale lavorai per cinque anni. Ma da quando mi ero trasferito nel 1973 dalla Valle Seriana a Canonica d'Adda, per ragioni di vicinanza con Milano, il mio luogo di lavoro primario, fui chiamato alla direzione della Banda di Boltiere, praticamente fuori casa. Il Presidente di questo gruppo era il Dottor Passera, appassionato melomane, che già mi conosceva in quanto mi aveva ingaggiato anni prima come timpanista per alcuni concerti proprio con quella compagine.
Da direttore di Banda, quando avevo bisogno di ampliare l'organico per l'esecuzione di alcuni brani, chiedevo collaborazione ai miei colleghi, che mi hanno sempre dato un valido aiuto. La loro presenza contribuì ad alzare il livello esecutivo di quella compagine. Col Dottor Passera, nell'occasione dell'80° anniversario della morte di Giuseppe Verdi nel 1981, pensammo di organizzare un concerto lirico con cantanti professionisti. Con l'Orchestra Sinfonica di Milano, che non era altro che la stessa Orchestra RAI in formato ridotto, capitava frequentemente di effettuare quelle che erano denominate "spedizioni punitive", cioè concerti, quasi sempre lirici, che venivano preparati con una sola prova per ragione di costi. Il direttore di questi concerti, ma anche di intere opere liriche con cori, scene e costumi, era un violinista dell'orchestra della RAI che si prestava al bisogno. Per combinare il concerto verdiano da portare a Boltiere, avendo bisogno di quattro voci liriche, mi rivolsi ai cantanti con i quali si collaborava per le spedizioni punitive, i quali di buon grado mi vennero in aiuto, accontentandosi di un cachet irrisorio, trattandosi, la Banda di Boltiere, appunto, di un gruppo amatoriale. Fu l'inizio della nostra collaborazione: c'era in produzione un Barbiere di Siviglia con la Sinfonica di Milano da eseguirsi nella Sala Grande del Conservatorio. Ma una brutta influenza costrinse il collega violinista-direttore a dare forfait. La responsabile del cast vocale si ricordò dell'esecuzione che ci vide collaboratori e chiese la mia disponibilità alla sostituzione del direttore. Immagini la mia emozione a salire su quel podio dove erano saliti i più grandi direttori del mondo? Naturalmente ne fui ben felice, anche perché era un'opera che conoscevo piuttosto bene, pur non avendola mai diretta. Diventai praticamente il direttore stabile di questa orchestra, per concerti lirici, opere liriche e concerti sinfonici. Anche con l'Orchestra lirica di Piacenza ebbi modo di lavorare. Ero naturalmente orgoglioso del fatto che i miei colleghi RAI accettassero sempre di buon grado di essere diretti da me. Curiosità: la prima volta che ebbi l'opportunità di dirigere i colleghi dell'Orchestra fu per una manifestazione durante uno sciopero del personale RAI, davanti al palazzo della stessa RAI in Corso Sempione a Milano. Conservo ancora una pagina del "Corriere della Sera" dove si parlava di questo evento, corredato da una fotografia. Con la collaborazione dei miei colleghi si fecero per ben dodici anni i "Concerti d'Autunno" a Gessate (Mi), organizzati dalla Corale di quella Parrocchia, diretta dai fratelli Costante e Mario Ronchi. In più di un'occasione si aggiungeva alla Corale di Gessate anche la Corale di Capriate S. Gervasio. L'insieme poteva contare su un gruppo di circa centoventi coristi e sessanta professori dell'orchestra, con i quali demmo vita a esecuzioni di ottimo livello.
Mi hai mostrato con grande orgoglio il tesoro musicale che hai trascritto nel corso della tua carriera da direttore: decine e decine di partiture da te adattate, che si convertono "tempisticamente" in una marea di ore di lavoro dove misure, note, abbellimenti, dinamiche si susseguono imperterrite per poi sfociare in opere dal valore inestimabile. Qual è la soddisfazione che un direttore d'orchestra prova a sentire ciò che per mesi è stato trattenuto nella propria penna con la voglia di uscire e che finalmente si tramuta in musica per le proprie orecchie?
La soddisfazione è veramente grande nel sentire realizzato il lavoro che ti ha impegnato per tanto tempo. Ma la fatica è ripagata dall'apprezzamento dimostrato dai collaboratori.
Raggiunto lo scopo dello studio con la possibilità di essere diventato un "Professore d'Orchestra", che ha reso orgogliosi di me la mia famiglia tutta, dai miei genitori prima e da quella che ci siamo creati con mia moglie e le mie figlie poi, non sono mai riuscito a considerare questa attività un lavoro. Ho avuto la possibilità di divertirmi tutta la vita e continuo a imbrattare fogli di musica con trascrizioni per le più svariate circostanze.
Qual è il compositore che prediligi in assoluto?
E' talmente vasto il numero di compositori e il mare di composizioni che si è formato in questi secoli che ritengo impossibile rispondere alla domanda, perché ogni periodo storico ha le sue peculiarità e centinaia di artisti hanno contribuito a formare questo mare: a seconda delle circostanze, un brano è più adatto di un altro a essere eseguito. Inutile, e forse anche dannoso, mettere in fila musiche e musicisti con delle preferenze. Se non è adatto alla circostanza, un brano non lo si può definire in nessun modo: non è bello e non è brutto alla stessa maniera. Semplicemente può non essere adatto. Una straordinaria composizione eseguita in un momento non favorevole non ti darà mai la possibilità di coglierne tutta la grazia e la bellezza che ti potrebbe dare in altre circostanze. E' un discorso che può valere anche sulla qualità delle esecuzioni. Una pagina di Mozart o di Beethoven, di Verdi o di Puccini può risultare brutta se l'esecuzione lascia a desiderare! Anche lo stato d'animo dell'ascoltatore può variare da un momento all'altro. Dipende con quale spirito si affronta l'ascolto. Ma se mi costringi a dirti un solo nome… beh! Gaetano Donizetti ha un posto privilegiato nel mio cuore. Forse perché è bergamasco?
Nel 1984 sei stato insignito dell'onorificenza di Cavaliere al Merito della Repubblica dal Presidente Sandro Pertini e, nel 2003, dell'onorificenza di Cavaliere Ufficiale per meriti artistici dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi. Direi proprio "orgoglio bergamasco"! Cos'hai provato nel momento in cui ti sono stati assegnati questi importantissimi riconoscimenti?
Se devo essere sincero, ho pensato che più di tutti li avrebbe meritati mio padre, che ha seminato bene nel nostro piccolo Comune e ha istillato la passione per la musica (leggi "Banda") e per il canto (leggi "Coro") a moltissime persone della nostra comunità. Purtroppo, come spesso avviene, "nemo propheta in patria". Queste onorificenze le ho ricevute io, ma nel mio cuore so che le ha meritate lui, mio padre.
Ora che stai per raggiungere gli ….anta anni (sssh! Non si chiede mai l'età! ), hai appeso le note al chiodo o ti dedichi ancora al trombone e alla direzione d'orchestra?
Per quanto riguarda l'età, non ho problemi a dirla: è prossima a suonare la campanella degli ottant'anni e, con maggior precisione, il 23 luglio prossimo. Piccola curiosità che mi inorgoglisce: sono "gemello" del nostro Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, anch'egli nato il primo giorno del Leone del 1941 (Auguri Presidente!). Mi chiedi poi se ho appeso il Trombone al chiodo. La risposta non può essere che "sì". Ho avuto la fortuna di suonare in una meravigliosa Orchestra per un gran numero di anni. L'andare in pensione non mi consentiva di rimanere allenato per stare al discreto livello che avevo raggiunto. Perciò era giocoforza prendere la drastica decisione di smettere, perché capivo di non essere più in grado di soddisfarmi. Meglio cadere in piedi e dedicare il tempo ad altre attività musicali che mi dessero ancora pari soddisfazioni. La direzione di diverse bande occupava gran parte del mio tempo, anche a causa delle trascrizioni che mi ero prefissato di portare a termine. Nacquero in quei tempi molti lavori, anche decisamente impegnativi, che riuscii a ultimare e a eseguire con l' Orchestra di fiati "Giuseppe Verdi" di Lecco, per la quale ho operato l'adattamento di molte opere liriche complete, tra cui Don Pasquale ed Elisir d'Amore di Donizetti; Ernani e Nabucco di Verdi, Norma di Bellini; I Pagliacci di Leoncavallo e innumerevoli brani con cantanti dei quali ho perso il conto; brani sinfonici come Carmina Burana di Orff, il balletto Lo Schiaccianoci di Čajkovskij, eseguito al Teatro Creberg di Bergamo con gli artisti della Scuola di danza "Pavlova" della nostra città; e ancora la Sinfonia Fantastica di Berlioz o la Sinfonia del Nuovo Mondo di Dvorak.
Arrivò un giorno anche una richiesta da parte di mia figlia Sara, flautista della Crespi Orchestra, formata da un gruppo di musicisti amatoriali. Mi chiedeva di dar loro un aiuto perché rimasti senza direttore. La mia risposta non poté che essere positiva. Sapevo come fossero messi per quanto riguardava l'organico e che avrei dovuto fare in modo di far "quadrare i conti musicali" con delle trascrizioni adatte a quella formazione, priva di alcuni strumenti. Mi misi al lavoro per " dare una mano" ma, purtroppo, questa malaugurata circostanza pandemica, che stiamo ancora vivendo, ha condizionato non poco il nostro lavoro, tarpando le ali alla buona volontà del gruppo. Però siamo bergamaschi e ci riprenderemo: qualcun altro (bergamasco, guarda caso) ha detto e messo in musica "Risorgerò, risorgerai…". Anche noi siamo bergamaschi e ci riprenderemo!
Ora ti tocca rispondere alle "Bergamodomande"!
Penso di non aver mai conosciuto un bergamasco più attaccato alla sua terra di te. Che cosa preferisci di più: i suoi abitanti, i suoi paesaggi o il suo dialetto?
Preferenze? I suoi abitanti: certamente! Siamo bergamaschi tutti quanti, tutti con una certa dose di caparbietà, la cosiddetta "crapa düra", e in questo mi riconosco. I suoi paesaggi? Abbiamo veramente di tutto: le nostre belle montagne, dove primeggia la Presolana, le nostre vallate con ognuna le sue bellezze di paesaggi mozzafiato, i nostri fiumi; ci sono i laghi, la pianura. Cosa vogliamo di più? Il suo dialetto? C'è chi dice che sia molto duro da capire e, per molti, sia incomprensibile. Per me ha invece un fascino particolare e, ogni qualvolta mi capita di tornare nella mia Val Seriana e sentire queste cadenze a me famigliari, mi si apre il cuore e ascolto la bella parlata dei miei conterranei: mi ricordano gli accenti della mia gioventù. Sono convinto che il sommo poeta Dante Alighieri, se fosse nato dalle nostre parti, avrebbe scritto la Divina Commedia in dialetto bergamasco!
Il tuo motto di sempre è "Mola mìa, mola mai". Lo ripeti sempre, sia a te stesso che alle persone che ti circondano. Quanto ti ha aiutato nell'affrontare la vita?
Credo di dover tutto a questo motto. Oggi è pronunciato da tutti e si è diffuso a causa della pandemia, ma è la sintesi degli incoraggiamenti che mio padre mi ha sempre rivolto, fin dai tempi dello studio del solfeggio, che spesso appariva ostico. Il senso di queste parole, accompagnate da una leggera pacca sulle spalle, alleviavano la fatica dell'impegno profuso nello studio. Ammiravo profondamente il suo amore per la musica. Dopo una giornata di lavoro allo stabilimento, tornava a casa e si metteva subito a trascrivere le parti per gli strumentisti della sua Banda. Non esistevano le fotocopiatrici a quei tempi e ogni esecutore doveva avere la sua parte, che gli veniva fornita dalla sua buona volontà di amanuense. Un esempio: in Banda suonavano otto Clarinetti? Otto parti. Così per ogni famiglia di strumenti che costituiva l'intero organico della Banda.
Qual è la parola bergamasca che preferisci e perché?
Semplicemente BÈRGHEM. C'è tutto in questa parola: il profumo della mia terra, la mia famiglia, i miei amici, il mio cielo, le mie colline, il mio cibo e tutti i personaggi della storia di questo lembo d'Italia benedetto da Dio, che se comincio a elencarli si fa notte.
Le qualità che apprezzi maggiormente dei bergamaschi?
Ne cito due: l'amicizia, ma quella vera, che si manifesta anche solo con uno sguardo, senza grosse smancerie, quella che ti viene regalata senza interessi personali, e la laboriosità. MOLA MÌA, MOLA MAI è anche questo: l'onestà nel lavoro, specialmente se il tuo lavoro si intreccia con il lavoro di altre persone. Non è lecito mettere in crisi altri lavoratori, in ogni settore, a causa magari della tua inefficienza. Il lavoro è sacro ed è dovere di tutti svolgerlo nel miglior modo possibile.
Anche in un'orchestra bisogna operare con questo spirito. Ogni esecutore è un mattone della stessa casa: se non inserito nel modo giusto, può far crollare tutta la costruzione che altri colleghi hanno faticosamente contribuito a erigere. Semplicemente bisogna crederci. E, se la qualità si riferisce all'ambiente musicale, senza lo spirito di collaborazione, quanti bei momenti musicali potrebbero andare persi?
Grazie Maestro per questa interessante intervista. Se qualcuno fosse interessato a entrare nella tua orchestra o a farla partecipare a qualche manifestazione, dove si più rivolgere?
Potete scrivere a info.crespiorchestra@gmail.com
Ci trovate anche nelle nostre pagine Facebook e YouTube come Crespi Orchestra.
Tutti i musicisti sono ben accetti! Anzi… se ci fosse qualche arco in più, ne saremmo molto felici! Garantiamo divertimento, amicizia e tanta bella musica!
Grazie Arianna e a presto risentire anche il timbro del tuo Violoncello!
Intervista fatta da Arianna Trusgnach per Chèi de Bèrghem
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