Gianluigi Trovesi, orgoglio orobico della scena jazz internazionale
Il musicista di Nembro che, con le sue eccezionali capacità artistiche, ha portato il nome di Bergamo in tutto il mondo
Gianluigi, con il "Tu" che desideri ☺ … Sei un musicista apprezzatissimo in tutto il mondo e hai collezionato concerti ovunque, con critiche lusinghiere sempre di alto valore (basti pensare all'importante rivista jazz statunitense Down Beat). Quando è nata la tua carriera solistica?
Nel 1978, quando ho inciso il mio primo disco: Baghèt. Stavo suonando molto in giro ed ero già entrato nella Big Band della Rai, ma quel disco mi ha dato la notorietà. In Baghèt racconto la mia storia, caratterizzata da un'idea precisa di musica. Quel disco potrebbe essere una sorta di "manifesto delle intenzioni", avendo deciso in modo ben chiaro quali erano le linee che mi interessavano, che mi appassionavano. Fortunatamente il progetto è piaciuto particolarmente, tanto da permettermi di vincere il premio della critica. Avevo trentaquattro anni.
"Baghèt" nasce da un antico saltarello dell'Ars nova fiorentina (1300-1400), che propongo suonandolo con strumenti diversi e facendo delle variazioni che toccano alcuni stili jazzistici (Coltrane, Coleman) e alcuni aspetti del Novecento (musica dodecafonica). Per la precisione, nel saltarello invento una serie dodecafonica e la uso per improvvisare in modo atonale. Tutto il progetto si basa quindi su un pezzo importante della nostra storia, una delle danze più diffuse di allora, così importante che è depositata al British Museum di Londra.
Perché quindi dico che questo disco è un manifesto? Perché è presente la musica popolare ma storica, il jazz e anche la musica europea del Novecento (basata sulle serie dodecafoniche). Gli ingredienti sono questi.
Hai studiato clarinetto al Conservatorio Donizetti con il M.° Giuseppe Tassis e Armonia, contrappunto e fuga col M.° Vittorio Fellegara: due artisti importantissimi per la musica bergamasca. Ora ti troviamo annoverato tra le eccellenze che sono ricordate dal tuo Conservatorio accanto a nomi come il Donizetti stesso. Quanto di quell'ambiente ti è rimasto nel cuore?
Considera che, quando frequentavo il Conservatorio, lavoravo per quaranta ore settimanali e andavo due/tre pomeriggi a settimana a seguire le lezioni di musica.
Le cose che mi sono rimaste nel cuore sono:
- l'ambiente poetico della Bergamo Alta (parlo dal punto di vista paesaggistico). Il Conservatorio si trovava lì nel 1959/1960. Si saliva a piedi e ci si immergeva in una città intrisa di poesia;
- gli insegnanti, decisamente ottimi, che mi hanno fatto appassionare alla musica. Io sono rimasto iscritto per ben undici anni, perché prima mi sono diplomato in clarinetto e poi ho seguito per circa cinque/sei anni i corsi di "Armonia, contrappunto e fuga" tenuti dal M° Fellegara.
Tu suoni il clarinetto piccolo e il contralto, oltre che il sax contralto. Mi hai detto che questo ti permette di avere "tre pentole diverse per la preparazione di tre pietanze differenti": ottima metafora per definire la tua versatilità nel passare da un genere all'altro. Ce la vuoi spiegare?
In realtà io suonavo fino a poco tempo fa i sassofoni soprano, contralto, tenore e il clarinetto piccolo, il clarinetto in si bemolle soprano, quello contralto e il clarinetto basso. Sono tutti strumenti che utilizzavo a seconda dei momenti.
Ora preferisco usare solo il clarinetto piccolo e contralto e il sax contralto.
La scelta di prendere un clarinetto o l'altro consente di regalare emozioni diverse, giocando sulla differenza timbrica oltre che sull'estensione. Quando improvviso, il timbro stesso mi suggerisce un'idea. Se quest'idea la suono con un altro strumento, non è più la stessa. Ad esempio, trovo l'emozione etnica più vicina ai clarinetti; il jazz sicuramente lo percepisco più vicino al saxofono. Per la musica del Novecento utilizzo invece i due clarinetti.
Detto in breve, racconto storie che hanno caratteri diversi, che sono dati anche e soprattutto dal timbro degli strumenti che scelgo.
Nel 2001 il Presidente Ciampi ti nomina "Ufficiale della Repubblica Italiana"; il Presidente Napolitano penserà ad alzarti di rango facendoti diventare "Commendatore della Repubblica" e ci si metterà di mezzo pure la Francia, che arriverà fino a Bergamo, per mano del console, ad appuntarti il titolo di "Chevalier De l'ordre Des Arts" per i tuoi grandi meriti artistici ☺ . E non basta… Sono state scritte pure due tesi su di te. Ricordiamo quella del dott. Luigi Sforza del Dams di Bologna e quella della clarinettista Annette Maye della Hochschule für Musik Köln (Germania). Ordunque: quanto ti rende orgoglioso di te stesso ricevere tutto ciò?
Pòta…
Quanti dischi hai inciso e qual è senza dubbio il tuo preferito?
Tra quelli a mio nome o in duo o trio (co-titolare) e quelli in cui sono stato invitato come solista, sono circa centocinquanta. Non ne ho uno preferito. E' come quando hai più figli: non puoi scegliere un figlio preferito. E se ce l'hai, lo dici? No. In questo caso ovviamente sto parlando della ventina di dischi che io ho firmato.
Il Bergamo Jazz Festival, nato alla fine degli anni Sessanta, è annoverato tra i più importanti del panorama europeo. Quando è iniziato, pochi erano gli artisti bergamaschi che si dedicavano a questo genere musicale. Ora la situazione è cambiata e possiamo contare su un numero di musicisti decisamente elevato. Cosa vorresti consigliare loro di utile per raggiungere una carriera importante come quella che hai ottenuto tu?
Dovrei dire "studiate e amate la musica". Ma qui bisogna sottolineare per prima cosa che quelli che conosco io personalmente o quelli che ho solo sentito suonare sono veramente bravi. A mio parere hanno un livello molto alto. Tra l'altro, se uno studia musica e fa jazz, ha già scelto di dedicarsi a qualcosa che ama e sa che è una strada lastricata di tante difficoltà, anche dal punto di vista economico. Quindi non c'è nessun consiglio da dare loro. Faccio solo i miei complimenti, perché hanno intrapreso questa strada e aggiungo:- Divertitevi con la musica, se potete!
Veniamo alle "Bergamodomande"
Qual è la cosa più bella che c'é a Nembro? Diamo il via alla pubblicità del tuo paese
La cosa bella del mio paese è che posso parlare ancora in dialetto.
Poi, se uno vuole sapere qualcosa su Nembro, entra in Google, Wikipedia e ha tutto. Ma immaginiamo che non ci siano questi mezzi tecnologici…
Innanzitutto consiglio di entrare a Sud del paese e di fare a piedi la parte più stretta.
Una cosa che faccio sempre quando passeggio è andare nelle chiese. Noi abitiamo in una zona molto cattolica: ogni duecento metri trovi una chiesa. Tutte hanno una loro storia e puoi trovare anche dipinti importanti. Per esempio ricordo che a Nembro abbiamo avuto un grande pittore: Enea Salmeggia, detto il Talpino. E non dimentichiamo, infine, che la chiesa parrocchiale sembra sia la più grande della provincia di Bergamo.
Nelle piccole frazioni, poi, vado a vedere anche i cimiteri, non perché abbia gusti strani, ma perché sono luoghi in cui puoi vedere la storia del paese e capire molte cose. L'architettura delle piccole tombe ti porta veramente a contatto con il popolo e la sua cultura.
Da vedere a Nembro c'è sicuramente l'Auditorium "Modernissimo". Alcuni anni fa, viste le insistenze anche dei musicisti, hanno deciso di ristrutturarlo, grazie al progetto di un architetto del suono. Beh, hanno fatto un lavoro bellissimo! L'acustica è fantastica: si sente perfettamente sia con un quartetto sia con un'orchestra sinfonica.
Voglio anche annunciare che a Nembro nascerà, grazie a un benefattore, la casa della musica, che verrà costruita sull'edificio della vecchia stazione ferroviaria. Ci sarà spazio per le prove, per la banda…insomma, per la musica!
Importante è anche l'oratorio del paese, non solo per i momenti di socializzazione, ma perché dotato di un teatro nuovissimo, dove si tengono rassegne teatrali tra le più importanti della provincia e della regione.
Ti chiedo di dipingere la Val Seriana da un punto di vista musicale.
La Val Seriana è una zona di cori e di bande. Forse questo lo dobbiamo al fatto che nella seconda metà dell'Ottocento arrivarono da noi alcuni industriali tedeschi (dalla Germania e dalla Svizzera) per costruire degli stabilimenti ed essi riuscirono a entrare nel tessuto sociale della zona portando la loro passione per la musica. Pensa che, se eri operaio di queste aziende, quando andavi a fare le prove nella banda o nel coro, spesso ti pagavano come se stessi lavorando.
Questa valle è, quindi, probabilmente quella più musicale del Lombardo-Veneto (uso questo termine vecchio non perché sia razzista o desideri ancora andare sotto l'Impero asburgico). Qui, partendo dalla bassa Valle e andando verso l'alta, quando io ero ragazzino ma anche fino a poco tempo fa, ogni piccolo paese aveva una banda e due cori. In molti casi anche oggi è così. Mi riferisco a paesi di quattromila abitanti. Ti sposti nel paese vicino e trovi un'altra banda e altri due cori. Il livello è decisamente alto. Alcuni hanno creato bande quasi a livello professionistico e abbiamo avuto maestri di cori molto importanti. Ricordiamo per esempio il Maestro Mino Bordignon, già Maestro del coro della Scala e poi del coro dell'orchestra Rai di Milano.
Quali sono i jazzisti bergamaschi attuali che apprezzi maggiormente?
Apprezzo tutti. Il livello è cresciutissimo. Non posso fare una classifica: io sono il più vecchio ed è come se loro fossero miei parenti. Già il fatto che abbiano deciso di fare il jazz dice tutto. Chapeau per il fatto che si siano appassionati a questo genere di musica. Non è facile assolutamente!
Qual è il cibo bergamasco che più ti è mancato nelle tue tournée in giro per il mondo?
Sono onnivoro e mangio qualsiasi cosa che posso mettere sotto i denti, anche se sono all'estero. La ingoio! Ma una cosa mi piacerebbe dire. Non vorrei andare sulla poesia, perché non sono un poeta. Però immagina di vedermi bambino in un paese in cui è appena finita la guerra. Non avevamo acqua in casa; non avevamo il riscaldamento (c'era solo il camino); per bere il caffellatte (che poi il caffè non si aveva), qualcuno doveva andare a mungere la mucca; per fare il minestrone o per fare lo stufato cominciavi ad accendere la stufa alle cinque del mattino.
Uno dei cibi più poveri che esistevano era la polenta con il latte, che noi chiamavamo pólt. Io posso mangiare anche adesso la polt, ma manca quella magia. Non c'è più, perché io non sono più un bambino. Tutto è cambiato, la magia è sparita.
Quello che mi manca, quindi, è la magia dei cibi di allora e il fatto che tutti partecipassero. Per esempio, durante la preparazione dei casoncelli, anche noi bambini tiravamo la sfoglia di pasta e aiutavamo a fare il ripieno da mettere dentro. Era una gioia! Di quel cibo lì, quindi, mi manca la poesia di come nasceva.
Avevamo anche un piccolo orto in cui c'era una vite e noi andavamo nei mastelli a pigiare l'uva con i piedi. Quel profumo di mosto dell'uva schiacciata non c'è più. Mi manca quella stalla, quella cantina, mi mancano quelli che erano con me quando ero piccolo. Stiamo descrivendo un mondo che non esiste più, perché io non esisto più in quel mondo e perché il mondo è cambiato.
Voglio fare un piccolo esempio che non riguarda il cibo ma serve per chiarire meglio ciò che intendo. Qui, la notte di Natale, si andava in giro per il paese a suonare le nenie natalizie pastorali. Era una cosa veramente magica. Ricordo che da bambino, mentre dormivo, sono stato svegliato proprio da una nenia natalizia che proveniva dal cortile dove abitavo. C'era un piccolo gruppo di musicisti della banda e mia nonna mi disse:- Senti che bello!
Ed era bello! Nevicava pure. Era buio. D'altronde, a parer mio, la magia arriva proprio se c'è buio e se c'è silenzio. Io nasco in un periodo in cui, per sentire la musica, ci doveva essere qualcuno che la suonasse in quel momento, ma dal vivo però! Non avevamo dischi. E la magia della musica andava spesso legata alla magia del profumo dei dolci che facevamo, per esempio a Carnevale con la zia o la mamma. Non era tanto la frittella in sé, quanto la preparazione. Noi bambini le aiutavamo a preparare queste cose. Eravamo immersi in una situazione poetica ben definita e mi manca quello, non la frittella. Anche a Natale c'erano dei cibi ben precisi (per es. il pollo ripieno) e questo profumo, questo sapore è legato alla gente, ai miei parenti… questo mondo di tanti anni fa che non esiste più.
Gianluigi, sono veramente onorata di aver potuto conversare con te. Ti auguro ancora tanta e tanta musica!
Potete trovare tutto ciò che riguarda Gianluigi Trovesi su www.gianluigitrovesi.com
Intervista fatta da Arianna Trusgnach per Chèi de Bèrghem
Vuoi sostenere il progetto "Chèi de Bèrghem?" Compra le nostre magliette qui: https://shop.cheideberghem.it/
Condividi l'articolo
-
Daniella Dentella
12/01/2024 - 04:51
Due grandi: trovesi e arianna
-
Ornella
26/01/2022 - 09:01
Bella intervista piena di emozioni ho assaporato il profumo dei ricordi