Il batterista di Carobbio degli Angeli si racconta ai lettori del Chèi de Bèrghem
Matteo, Wagner ti ha perseguitato non poco nella tua infanzia perché tuo padre era un super sfegatato di questo grande autore. Dopo essere stato immerso nella musica classica e aver studiato chitarra, pianoforte e l'ostico solfeggio, naturalmente hai scelto di dedicarti alla batteria :-) . Come mai questa scelta molto drastica e distante dal tuo sostrato musicale?
Mi sono imbattuto nella batteria per caso. Una mattina mia mamma è entrata in casa dicendo:
"Ma lo sai che il Chicco, il macellaio, suona la batteria? Vuoi provare?"
Mi si è aperta la porta su un mondo di possibilità. Ho provato. Dopo un mese ho fatto il mio primo concerto e la sera, tornando a casa, mi sono detto: "Questo è quello che voglio fare nella mia vita". Avevo diciassette anni e sono ancora qui che suono. Lì per lì non era una possibilità, ma il richiamo è stato fortissimo. La batteria è il cuore che batte.
Nel 2001 apri uno studio di registrazione a Bergamo, il Cavò Studio, assieme a un socio e inizi un'avventura che ti porterà a diventare una delle realtà jazz più importanti di quegli anni. Produci il primo album di Mario Biondi, oltre che a lavorare con: Rosalia de Sousa, Lee Konitz, Fabrizio Bosso, Moni Ovadia, tanto per citare i più famosi. Che imprinting ti ha dato questa esperienza?
Ogni grande artista con il quale ho lavorato mi ha insegnato tantissimo, sia mentre lavorava al suo progetto sia mentre pranzavamo o facevamo delle pause. Ricordo gli aneddoti, il modo di respirare, il modo di ascoltare. Ho avuto la fortuna di poter vedere come si fa musica in un ambiente dove il mercato è un posto lontano e conta il momento che stai vivendo, perché fai la musica che vuoi. Ricordo bene la mia prima lezione di batteria hiphop fattami da Gregg Hutchinson. Ero continuamente stimolato da grandissimi musicisti. E poi le chiacchierate nel traffico con Lee Konitz sono state dei momenti incredibili.
Hai lavorato con Ishtar, Schema, Philology, Sony, Warner. Mica pizze! Direi che il tuo curriculum musicale non è per niente male, eh! Una cosa simpatica che non dimenticherai mai di questa avventura?
Quando il maestro Renato Sellani, entrando in regia dopo una registrazione, si è paralizzato davanti a un gradino. Noi eravamo inermi, visto che era abbastanza anziano e non sapevamo cosa fare. Siamo rimasti di pietra per qualche secondo e poi lui ci ha guardato ridendo e prendendoci in giro perché avevamo creduto al suo scherzo.
Come batterista, hai fatto turneè con artisti come: Sirya, Ghemon, Tonino Carotone, Ila & The Happy Trees, Robi Zonca. Cosa si prova a stare su palchi così importanti a livello di vibrazioni?
La cosa più bella è vedere dove questi artisti ti portano nel loro viaggio musicale. I palchi sono un po' l'emanazione del loro messaggio. Il pubblico di Robi è molto diverso da quello di Tonino o Ghemon. Non tanto come numeri, quanto per il tipo di relazione che si crea col pubblico. E' molto bello, da esterno, entrare nei vari mondi e vedere diversi tipi di atmosfere. Chiaramente la prima volta che suoni davanti a trentamila persone te la fai sotto, ma sono emozioni che non ti lasceranno più.
Una nausea avversiva verso il mestiere della produzione a un certo punto pervade Matteo Marchesi e fa sì che nel 2005 arrivi una sorta di svolta: conosci Carlo Sinigaglia, grande personaggio bergamasco famoso per aver diffuso la musicoterapia in Italia. Con lui inizi un percorso che ti porterà ad abbandonare la casa discografica e la carriera concertistica per dedicarti alla scoperta della musica PER L'UOMO e a scrivere assieme a lui un libro, "Il giorno in cui abbiamo inventato l'acqua calda", in cui spiegate il vostro lavoro. Ci vuoi raccontare che cosa esattamente fate attraverso il potere della musica?
Il nostro modo di fare musicoterapia è peculiare. Utilizziamo la vibrazione dell'aria e quella del corpo per entrare in relazione con la persona. Non siamo interessati alla patologia. A noi interessa modificare la situazione interna della persona. E' sempre possibile porre la persona in un rapporto differente con la sua problematica. Usiamo le sue tensioni e le sue peculiarità del corpo per descrivergli il mondo attraverso la nostra musica: Carlo con la chitarra e io "suonando" la persona. Un misto tra percussione e massaggio. Vengo a bussare alla porta della tua pelle e tu vieni a vedere chi c'è.
La casualità vuole che ti imbatta in una pianola a due ottave con i tasti dai colori invertiti (tasti neri e alterazioni in bianco). Inizi a scrivere dei pezzi tuoi e arrivi così a Dot, il tuo primo album, che chiude il cerchio del tuo essere artista tutto tondo. Com'è nata l'idea di riunire i nove pezzi di questo tuo lavoro e quanto è stata importante la presenza degli amici non solo nell'idea iniziale di far uscire l'album, ma anche nella loro presenza "fisica" all'interno dei tuoi pezzi?
Avevo bisogno di una pausa dopo quindici anni di lavoro in studio intensissimo. Poi, a un certo punto, quella Akai mi ha incuriosito e mi sono messo a suonicchiare cose a caso. Pian piano, mi si sono attivati i neuroni musicali che avevo spento e un po' alla volta ho messo a posto nove brani. Ho chiesto ad amici musicisti di partecipare. La scelta è stata dettata dal brano e dalla mia percezione di questi artisti. Ho cercato per ogni pezzo il colore giusto.
Terminato il disco, per me era finito e basta. A posto così. Non avevo esigenza di pubblicarlo. Mi bastava averlo fatto. Ila e Filoq, però, mi hanno fatto capire che sarebbe stato un peccato non farlo esistere anche fuori dalle mie orecchie e mi hanno convinto.
Quindi, questo è un disco fatto con amici e uscito grazie ad amici.
Perché Dot?
Perché ho fatto, da un lato, il punto sulla situazione mia come produttore e musicista e, dall'altro, perché è stato il punto di partenza del percorso di "artista " e non più solo di turnista per altri.
Hai fatto quasi tutto tu: batterista, produttore, arrangiatore e hai pure cantato in un pezzo e mezzo. Mi interessa sapere quel mezzo… :-)
Il pezzo nasce inizialmente come uno strumentale con la mia parte vocale come ritornello in lontananza. Quasi come se la voce fosse un suono lontano. Poi ho coinvolto Daniele per rappare e lui ha fatto un lavoro eccezionale. Di conseguenza la mia parte vocale distante è diventata il vero e proprio ritornello del brano.
Sento molte reminiscenze africane nel ritmo dei tuoi brani. In particolare si sente il legame col genere Bikutsi. Ci vuoi spiegare meglio questo ritmo ancestrale?
Per il mio sentire la musica è un tentativo di rappresentare il mondo. Il ritmo che suono è una descrizione del ritmo del mondo. Le stagioni, il giorno e la notte, il battito del cuore. In questo senso la musica che mi affascina è quella dove mi suona più evidente questa descrizione. In Africa ci sono molti ritmi estremamente affascinanti. Tra questi il Bikutsi del Camerun è uno di quelli dove sento un legame fortissimo con l'uomo. Mischia il tempo binario (nel nostro corpo il passo) con il ritmo ternario (battito del cuore) e così descrive proprio il movimento del nostro ritmo. Il passo sotto e il cuore sopra. Una bellissima poliritmia.
Mi dicevi che ogni pezzo ha un suo perché. In particolare mi ha affascinato la genesi di "Joe e Agnese". Puoi far partecipi i nostri lettori di questa storia carinissima?
Giosuè e Agnese sono figli di amici che, una sera, giocando con la tastierina, hanno creato una melodia bellissima. Io e il loro papà ci siamo guardati increduli. Per fortuna mi sono gettato sul tasto "Registra". Successivamente ho finito il pezzo aggiungendo gli altri elementi. Sono rimasto molto colpito dal tipo di metrica e di melodia che hanno sentito questi bambini di soli cinque anni.
So che a gennaio preparerai dei live ed è praticamente pronto anche un nuovo disco. Insomma… Ci hai preso gusto! Ci vuoi dare qualche anticipazione in merito?
A gennaio andrò a Genova a terminare la preparazione dei live di presentazione del disco e a capire i tempi e modi dell' uscita di quello dopo. In realtà il disco prossimo sarà un altro progetto. Sempre mio, ma ho deciso di dividere gli ambiti. Questo lavoro sarà più incentrato sul mondo funk e dj .
E ora le "Bergamodomande"!
Tu sei genovese di padre, istriano di madre, vissuto in Val Camonica e poi, da vent'anni, bergamasco, prima cittadino e poi trasferito a Carobbio degli Angeli. Mamma mia, che miscuglio! Ti ritrovi in qualcosa di bergamasco?
Beh, dopo vent'anni qui direi che Bergamo è più che una casa. Non ho ancora imparato bene i nomi delle vie, ma temo sia più a casa dell'età. Mi piace l' aspetto burbero e iperconcreto del bergamasco, che però sotto cela un cuore d'oro.
Dovessi fondare una band bergamasca, immagina un' ipotetica audizione e pensa a chi affideresti i seguenti ruoli:
Cantante: Andi Brevi
Chitarrista: Robi Zonca
Bassista: pota, Nicola Mazzucconi
Tastierista: Il Chebat
Batteria (ovviamente puoi inserirti…ahahah!): il Crovetto (io sto lì e guardo)
Violoncello? (Scherzo! Lo so che non c'entra nulla, ma ovviamente dovevo mettere il mio amato strumento! Ahahah!)
Quando ti arrabbi, ti capita mai di imprecare in bergamasco? :-)
Ehm....
Grazie Matteo!
Potete trovare Matteo Marchesi ai seguenti contatti:
Instagram: https://www.instagram.com/matteomarchese_dot/
Facebook: https://www.facebook.com/teomarchesedrum
Spotify: https://open.spotify.com/artist/5JM6QIatDF2ZRsYtAhrIsO?si=O3Ex21IBStOjdfD_cYMfuQ
YouTube: https://www.youtube.com/channel/UC1q8B8LGmbwksOKYm-vQzQw
Mail: teo@teomarchese.com
Intervista fatta da Arianna Trusgnach per Chèi de Bèrghem
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